EPOCA: secolo XVI
AUTORE: ignoto
STATO DI CONSERVAZIONE: buono RESTAURO: anno 1984-1986
Il fabbricato, chiuso da alte mura, confinante da tutti i lati con la strada, si sviluppa a nord dell’imponente palazzo seicentesco. La disposizione planimetrica di questa dimora richiama lo schema delle case a corte chiusa tipiche del periodo e della zona. Imponente e severa, la facciata si apre sulla piazza della chiesa parrocchiale e si sviluppa in leggera pendenza, seguendo così la morfologia del terreno. Il portale, importante nelle sue linee architettoniche, presenta una cordonatura a bugne rettangolari, con grosso dado d’imposta all’arco a pieno centro, in pietra di Sarnico martellinata, così come i due portali meno imponenti che si aprono sul lato sud verso sera. Sopra il portale, in facciata, si vedono ancora due mensole in arenaria che testimoniano l’esistenza di un balcone caduto nei primi anni del Novecento. La facciata è scandita da sei alte finestre rettangolari con semplice inferriata al primo piano, mentre ad ovest si aprono due finestre rettangolari poco al di sopra del livello stradale, in quanto danno luce al salone seminterrato. La fiancata ovest della casa presenta sette aperture in basso e sette al primo piano, di cui una tamponata, tutte munite di inferriate. La fiancata ovest si conclude con un corpo di fabbrica caratterizzato da un ampio volto a botte, con tessitura muraria a vista, che si appoggia al muro perimetrale della villa antistante. Di particolare interesse è la cornice dentellata di questa struttura architettonica, resa con una successione ritmica di dadi in cotto grezzo, che corrono anche lungo il cornicione del palazzo, anche se questi ultimi sono stati ridipinti nell’Ottocento ad opera dell’architetto R. Vantini. La fiancata est, priva di aperture, è caratterizzata da un alto muro pieno.
NOTIZIE STORICO CRITICHE
Questa antica casa cinquecentesca, sorta come prima dimora dei Martinengo, nel secolo XVII si trasforma in casa colonica e oggi una raffinata abitazione signorile. La sobrietà funzionale della casa e l’armonia delle sue linee architettoniche sono il frutto di un raffinato restauro, che testimonia la grande sensibilità estetica e l’impegno tecnico dell’attuale proprietà. I materiali locali preesistenti, quali la pietra, l’arenaria, il cotto, i ciottoli morenici, sono stati sapientemente riutilizzati ed artisticamente valorizzati, studiandone le varie caratteristiche cromatiche, per inserirli nei vari dettagli architettonici in gradevole sintonia. La casa viene citata per la prima volta nella polizza d’estimo del 1627, stilata dagli eredi di Lelio q. Cesare Martinengo, in cui si legge “la casa antica con torchio e corte” ecc. Nella polizza d’estimo del 1686, stilata da Bernabò Visconti, marito di Francesca Martinengo, si legge “…caneva, stalla, corte, orto, colombara e torcolo circondato da muro…”. Stessa descrizione viene riportata in una polizza del 1724, quando la casa passa in proprietà ai Fenaroli. In seguito passerà poi in eredità ai Valotti ed infine alla famiglia Lechi. Subisce un radicale restauro negli anni 1984-1986.
EPOCA: casa secolo XVI / cantina secolo XVII
AUTORE: ignoto
STATO DI CONSERVAZIONE: buono
Interno
Al di là del portale d’ingresso, un semplice androne immette nel giardino, circondato su tre lati da alti e lunghi porticati caratterizzati dal soffitto a travatura lignea, che sottolinea l’armonia non solo volumetrica, ma anche cromatica dell’insieme architettonico. La facciata interna, a nord del giardino, non ha porticato e presenta simmetriche aperture sui due piani. Sotto il porticato ovest, sostenuto da quattro pilastri quadrangolari in cotto, una bella scala in pietra di Sarnico conduce all’antica cantina seminterrata. Le dimensioni del locale (40×8 m.) e la tinteggiatura uniforme delle pareti rendono ancora più imponente questo salone, illuminato da sette finestre dalla profonda strombatura, che si trovano fra le volte unghiate 29 del soffitto. Le due finestre sul lato nord si aprono sulla zona ovest della facciata principale. Le porte di accesso alla vecchia cantina sono lignee e conservano ancora le tipiche aperture quadrate inserite ad altezza d’uomo. Il porticato sud, con due aperture poggianti su pilastri quadrangolari, conserva al centro l’antica pietra pressatrice in pietra di Botticino, parte integrante dell’antico torchio. Sulla parete di fondo, verso mattina, sono collocati due modelli di statue in gesso, i cui originali in bronzo sono presso le sale del quadriportico di piazza Vittoria a Brescia. Il portico est è aperto solo nella sua parte meridionale, mentre la porzione rimanente è stata chiusa con delle leggere vetrate, al fine di ricavare delle piacevoli salette senza intaccare il soffitto del portico, che risulta così visibile nella sua integrità. Sulla sinistra dell’androne, a piano terra, si aprono due salette con finestrelle quadrate strombate sulla parete nord e altre aperture sul lato sud. I due ambienti hanno il soffitto a travetti, dipinti nel corso del restauro. Sulla destra dell’androne una antica scala in marmo di Botticino, così come il muretto, porta al primo piano, dove si aprono cinque salette, di cui tre con volta unghiata e riquadro centrale sottolineato da un leggero fregio in stucco. La prima sala a est mostra, sulla parete sud, un bel camino in marmo. Le ultime due sale, a ovest, presentano un soffitto piano. Tutti i pavimenti delle sale della casa sono in cotto originale dell’epoca.
NOTIZIE STORICO CRITICHE
Gli interni della casa rispecchiano le caratteristiche architettoniche cinquecentesche, mentre l’antica grande cantina mostra soluzioni plastiche care al gusto del XVII secolo. I modelli delle due statue in gesso, sotto il portico sud, sono opera dello scultore Angelo Righetti (1900-1972), bresciano, noto per la finezza e l’armoniosità del suo modellato soprattutto nelle sculture monumentali. Le statue si possono datare intorno agli anni 1930-1932, periodo in cui il conte Fausto Lechi era Presidente del Consiglio Provinciale dell’Economia. Nel corso del 1932 infatti, vengono inaugurate le Sale Comunali del Consiglio stesso, in piazza Vittoria a Brescia, dove ancora oggi si trovano le due statue originali in bronzo. Durante l’ultimo conflitto mondiale, negli ambienti di Palazzo Lechi, antistante l’antica casa, vengono depositate e protette molte opere d’arte provenienti dal museo di Brera di Milano, dalla Pinacoteca di Brescia e il gruppo scultoreo dei “Màcch de le ure” che era in piazza Loggia. La cantina di questa casa era stata adibita invece dal Comando militare tedesco a deposito di carburante. Molto interessante e storicamente molto rilevante è lo scambio epistolare intercorso fra il prof. Ugo Baroncelli, responsabile dei Beni Culturali bresciani, e il Sopraintendente artistico del Comando militare tedesco di Milano. Di particolare importanza è il documento che riporta l’invito formulato dal Baroncelli ad adibire la cantina a magazzino generico, sottolineando l’opportunità di trasferire altrove il carburante, in quanto molto pericoloso. Il Sovrintendente tedesco accoglie l’invito del prof. Baroncelli ed utilizza il locale come magazzino di cavi telefonici. Attualmente, dopo un accurato restauro avvenuto negli anni 1984-1986, l’antica casa Martinengo-Valotti-Lechi è rinata come accogliente dimora signorile.
Torchio a leva e vite situato nel portico sud del fabbricato
EPOCA: XVI secolo
AUTORE: ignoto
MISURE: diametro 130 x h 80 peso 30 quintali STATO DI CONSERVAZIONE: buono
L’antica pietra del torchio è incassata, al centro del porticato sud, in una struttura muraria circolare dai bordi sottolineati da una raggiera di mattoni in cotto. La presenza sul pavimento del portico est di due zone rettangolari, ben segnate e in perfetto asse con il torchio, fanno ipotizzare che questo ultimo fosse del tipo a leva e vite. Della parte superiore del torchio rimangono solo le due piatte e strette circonferenze in ferro che si agganciano alla parete muraria incassata nel pavimento. La pietra pressatrice, che non presenta alcuna scritta, è costituita da un blocco cilindrico omogeneo in pietra di Botticino con il ferro centrale, dove era posto l’albero a vite necessario per azionare la trave di fissaggio sulla pietra.
NOTIZIE STORICO CRITICHE
L’ubicazione del torchio, vicina sia al portale d’ingresso del lato sud sia alla grande cantina che si sviluppa sul lato ovest, seminterrata, prospiciente il portico e il prato, conferma come nel cinquecento fosse ancora vivo e costante l’interesse per questo settore agricolo da parte della nobile famiglia, documentato fin dal periodo medioevale. Rispetta infatti le regole della più antica tradizione medioevale che indicava il “Torculum” come “ambiente spazioso o portico coperto da traversi e coppi adiacente il cortile, il luogo dove si trasportava, si scaricava e si pigiava l’uva”. Nell’Archivio Privato della famiglia Bettoni-Lechi-Fondo S. Giulia documenti medioevali testimoniano quanto fosse seguito l’iter lavorativo della produzione del vino, dalla vendemmia alla conservazione. L’onere del trasporto di questo pesante blocco di pietra è stato 31 affidato presumibilmente ai “medollari” gli stessi operai che procedevano all’estrazione e che, aiutati dai compagni di lavoro, si assumevano anche la responsabilità di questo specifico lavoro. La preparazione poi del torchio, per renderlo funzionante, richiedeva circa sette giorni di impegno. Per il torchio viene utilizzata la pietra di Botticino, molto in auge nel ’500 e nel ’600 per le sue particolari caratteristiche, non solo per le opere di grande levatura architettonica, ma anche per la realizzazione di strumenti di lavoro. Non presenta eccessivi problemi di lavorabilità ed è docile allo scalpello, è particolarmente resistente agli sbalzi di temperatura, resiste agli urti e ai pesi e, non ultimo, presenta una omogeneità di grana e un cromatismo delicato non secondario.
Descrizioni tratte da S. Bozzetti, "Erbusco Storia Arte Cultura" - Erbusco, Comune, 2009