EPOCA: fine secolo XVI inizi secolo XVII con interventi nel secolo XX
AUTORE: ignoto
STATO DI CONSERVAZIONE: buono

Esterno

Il palazzo che si affaccia sul piazzale della Chiesa è completamente circondato da alte mura di cinta, che ne impediscono in parte la visione. Il portale d’ingresso in pietra di Sarnico, austero nella sua elegante semplicità, è caratterizzato da una cordonatura in bugnato poco aggettato e porta, sulla ghiera dell’arco a pieno centro, lo stemma della famiglia Chizzola, composto da un’aquila araldica nella parte superiore e nella parte inferiore da tre ciambelle stilizzate, comunemente dette “chissole”. Due grossi mensoloni scanalati sorreggono il massiccio poggiolo pure in pietra arenaria con sagomate colonnette. Sul lato orientale della facciata, a livello perimetrale, è inglobata l’antica torretta del 1300, dalle linee squadrate, sottolineate da tre spaziature, di cui la centrale conclusa con un’aggettata cornice a mensole, forse parte dell’antica fortificazione del castello. Nella zona inferiore e in quella terminale sono presenti piccole feritoie. La fiancata est presenta simmetriche aperture al primo piano e un ampio portale a piano terra. Il lato sud del palazzo è chiuso da un’altissima e imponente muraglia, che separa la proprietà Chizzola dal brolo dei Conti Lechi. Nella seconda metà del ’600 infatti si è innalzato il muro di cinta preesistente con ciottoli morenici, medolo e cotto, fino a raggiungere un’altezza di ca. 8 metri. L’esigenza di separare le due proprietà è nata dopo un violento fatto di sangue avvenuto fra la servitù delle due nobili casate. La fiancata ovest, vivacizzata nel suo schema architettonico da una bella scala in pietra di Sarnico con ringhiera in ferro, che taglia la ritmicità delle aperture della facciata, si apre su un bellissimo degradante giardino che si conclude con una bella cancellata su Via Verdi. Il giardino, tenuto conto della conformazione del terreno e della sua specifica posizione, 36 diviene così parte integrante del palazzo, quale appendice della sua stessa architettura, con il suo schema compositivo ben proporzionato nelle linee e nelle spaziature. Il disegno del giardino risulta così ordinato, perfettamente bilanciato attorno ad un asse centrale, che parte dalla fontana circolare centrale fra i quattro riquadri verdi del terrazzamento superiore, e, attraverso una scalinata del ’700 in pietra di Sarnico con colonnette sagomate, si conclude con un’altra fontana rotonda elegante che fa da quinta prospettica all’asse stesso. La scalinata, affiancata dagli alberi, che valorizzano il suo aspetto architettonico, tanto da essere poi ripreso nel 1970 nella balaustra del terrazzo sovrastante, da cui si gode tutta la simmetria e l’armonia dell’insieme del giardino, è stata recentemente restaurata. I quattro riquadri del giardino superiore sono tappeti verdi con i bordi delimitati da basse siepi modellate con emergenze geometriche sferiche ottenute dal sapiente taglio del bosso, che ritmano piacevolmente l’intero perimetro. Il lato ovest del giardino superiore è focalizzato da un interessante alto fondale completamente occupato da una quadratura di mano d’artista sicuramente non locale. Lo schema architettonico dell’affresco rivela infatti influenze veneto-emiliane riscontrabili nella resa prospettica alquanto articolata e felice delle “finte architetture” poggianti su snelle colonne binate, che si impostano su un terrazzo dalla lavorata balconata, su cui si appoggia un personaggio di spalle dalla foggia orientaleggiante. Un’altra figura occhieggia fra spezzoni architettonici di sfondo. L’affresco del fondale è tipico della prima metà del ’700 ed è un elemento decorativo molto caro al gusto dei committenti dell’epoca. Da sottolineare che nel fondale esiste una porticina che mette in comunicazione, attraverso un alto gradino, con una cisterna d’acqua in un piccolo locale stranamente intonacato, retrostante l’affresco.

Interno

A destra dell’ingresso si apre un importante scalone a due rampe, molto lungo, che conduce al primo piano, che non presenta, però, sale interessanti, se non un salone con camino in pietra di Botticino. Il palazzo presenta una pianta a corte chiusa dove, tranne nell’ala ovest, sono presenti tre braccia di porticati con cinque ampie campate a pieno centro, poggianti su pilastri con la stessa bugnatura del portale, con volta a crociera. La facciata sud, che presenta simmetriche aperture, è vivacizzata dal portico sulla cui parete di fondo, piena, si trovano belle cassapanche in legno dipinte. Su uno schienale si nota lo stemma della famiglia Marchetti: uno scudo diviso in due bande orizzontali con tre stelle nella parte superiore e tre dadi in quella inferiore, legate dalla scritta in latino, che tradotta 37 significa: la sorte è in cielo. Su un altro schienale si trovano accostati i due stemmi di Francesco Chizzola e Teresa Ali Ponzoni Chizzola, sua sposa. Al di sopra del portico della parete est si nota una lunga, semplice balconata sostenuta da grossi mensoloni. Il portico sud, che chiude il cortile, è più recente ed è stato aperto alla fine dell’800; sulla parete di fondo si apre un locale dalle interessanti travature a vista in legno. Degna di nota è pure la cantina con bella volta a botte unghiata. L’interno dell’ala ovest del palazzo è costituita da una successione di sale che portano al lungo salone, costruito alla fine dell’800, con una volta affrescata con motivi romantici su tonalità tenui e delicate, con le pareti scandite in riquadri da lesene con decorazione a stucco e pavimento veneziano. Sulla soglia verso il terrazzo si nota la scritta: 1827 T.A.C., anno di costruzione della sala, voluta dalla contessa Teresa Ali Ponzoni Chizzola, moglie di Francesco Chizzola. Tutte le sale sono abbellite da semplici camini architravati in pietra e presentano bei pavimenti in cotto. 38

NOTIZIE STORICO CRITICHE

Bell’esempio di costruzione seicentesca, voluta dalla famiglia Chizzola, che dal 1984 fa parte dell’Associazione “Dimore storiche della Lombardia”. L’ultimo discendente della famiglia, Francesco, sposa Teresa Ali Ponzoni di Cremona che alla morte del marito lascia il palazzo al lontano parente Carlo Martinengo. La figlia di quest’ultimo, Giuditta, sposa il conte Ippolito Marchetti di Montestrutto. Per eredità familiare la dimora passa ad Antonio Marchetti di Montestrutto, attuale proprietario. Un cenno particolare merita l’imponente “muro dell’odio” voluto dai conti Martinengo per l’uccisione di un loro servitore da parte di un domestico di casa Chizzola. In origine, il lato sud, deturpato dal muro, era occupato da un ingresso adiacente alla piccola strada comunale, da cui si godeva di un ampia vista sul monte Orfano. Attualmente questa porzione di strada è inglobata nella proprietà e si trova sotto il corridoio che divide il lato sud dal portico. Nell’ala ovest esiste ancora oggi la scala con gradini molto bassi che conduceva, attraverso un sottopasso, alla cascina di fronte, utilizzata come scuderia per i cavalli. Le fontane del giardino zampillavano acqua fino alla seconda metà dell’800, quando Carlo Martinengo Chizzola dona l’acqua della sua sorgiva al Comune; le fontane diventano così sculture piramidali verdi, costituite da tasso, bosso e sempreverdi rampicanti, che le trasformano in due importanti punti focali del giardino all’italiana. Attualmente sono utilizzate solo le vasche inferiori, Contemporaneamente alla donazione viene addossato al muro perimetrale esterno, a sera, adiacente alla strada, un grande lavatoio, oggi perduto.

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Descrizioni tratte da S. Bozzetti, "Erbusco Storia Arte Cultura" - Erbusco, Comune, 2009